Ho varie ricette in attesa di essere postate, chi mi segue anche su facebook sa che sono in arrivo golosità come i tiramisù da passeggio, la torta rovesciata all’ananas, il calzone alle cipolle… Avevo anche un’altra bella ricetta senza uova e senza lattosio da proporvi anche per concludere il contest, che vi ricordo scade domani, lunedì 5 marzo alle 23:59.
Ma è proprio preparando una “vecchia” ricetta senza uova che mi è venuto in mente quello che voglio scrivere oggi, quello che voglio condividere con voi. Perché credo che sia ormai chiaro a tutto che per me il far da mangiare è più di una passione, è una parte di me e della mia storia che viene fuori. Cucinare per me non è un hobby o una passione scoperta guardando dei programmi TV. Io sono cresciuta educata all’idea che una brava donna DEVE saper stare ai fornelli e per bene, che in cucina i gesti devono essere attenti e scrupolosi. Sono cresciuta in una casa in cui buona parte di ciò che si mangiava proveniva dal proprio orto, dove il cibo non si butta via e dove si mangia tutti la stessa pietanza. Dove non esiste il “non mi piace” e dove sbagliare la quantità di sale o olio nella “minestra” è peccato capitale. Quello che mi manca di più della mia terra sono proprio i sapori autentici della frutta e della verdura, che qui a Bari sembrano essere senza anima.
Un’altra qualità che mi aiuta molto nella cucina è la capacità di distinguere molto bene gli odori e gli aromi e spesso gli odori per me hanno un potere evocativo di ricordi e persone del passato. Ogni tanto e nelle situazioni più disparate mi arrivano alle narici odori inaspettati che mi riportano altrettanto immagini a volte quasi dimenticate: il mio zainetto dell’asilo, la mia bambola preferita, l’odore che aveva la pelle di mio fratello appena nato, l’odore del Natale e quello della primavera, l’odore dell’alba e del crepuscolo in campagna, l’odore delle piogge estive e di casa dei miei nonni nel periodo in cui mio nonno è stato male.
Ed era lui che mi stava affianco l’altra sera mentre preparavo la crostata di pane e mele con i suoi occhi sorridenti ed il suo guardarmi amorevole.
Ed ho ricordato che fu lui a farmi notare la bontà della frutta mangiata con il pane, in particolare le mele. Lui mangiava soprattutto la frutta secca con il pane, le noci gli piacevano molto e mi faceva ridere tantissimo il rumore che facevano sotto i suoi denti che sembrava cigolassero. Pane… mele… noci. Quello che stavo mettendo nella mia crostata. E le noci erano proprio quelle del nostro grande albero, sotto le cui fronde ci ristoravamo nei pomeriggi d’estate, e dove ho iniziato a scrivere e liberare la mente.
Pane caldo e latte… tra le mie colazioni preferite tutt’ora. Colazione povera ma autentica. Pane e frutta per far finta che a fine pasto ci sia anche una fetta di torta. Pane e noci per assaporarne meglio tutto l’aroma ed il gusto. Non voglio farvi pensare d’esser stata povera o di esserlo, ma ringrazio i miei genitori di avermi cresciuto con uno spirito contadino, dove si fa tesoro di quello che c’è.
Quando preparai la prima volta la crostata di pane e mele non mi ero accorta di tutti questi ricordi che stavo impastando (mi ero solo soffermata sul ricordo del pane e latte!) perché avevo chiesto ad Amour di aprire le noci al posto mio e le ho aggiunte alla fine in fretta prima di infornare. Quindi i profumi non si erano potuti mischiare nella mia mente e prendere la forma dei mille pranzi passati a casa dei miei nonni dopo la scuola.
Ecco. Potrei ribattezzare quella crostata come la torta del nonno, la torta di nonno Cosimo. Mi dispiace solo che lui non l’abbia potuta assaggiare, sono certa che gli sarebbe piaciuta e molto, ma, in un certo qual modo, lui era lì con me. In un certo qual modo il suo sapore lui lo conosceva già.
Ciao nonno. Mi manchi.
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