Faij e Fogghij, fuori dalla Puglia, Fave e Verdure…
Non è un piatto, è un racconto.
Il racconto dei contadini che svuotavano intere pagnotte per riempirle di purè di fave e consumarle nei campi, a metà della giornata di fatica e lavoro.
Il racconto del mestolo di legno che da noi si chiama “cucchiara ti li faij” (cucchiaio delle fave) tanto è radicato questo piatto nella nostra tradizione.
Il racconto di ogni venerdì in cui dopo la scuola mia nonna ci faceva trovare “li faij” con i bastoncini di pesce fritto o qualche volta i gamberetti fritti.
Il racconto dei prodotti della terra, ognuno dei quali si sposa bene con questo purè: li fogghij (lett. le foglie, ma significa verdura di campagna, che cresce spontanea e soprattutto amara), gli ortaggi tutti, i pomodori, i peperoni verdi fritti, persino la frutta, l’uva e le mele in primis.
E’ il racconto del pane raffermo che non va buttato, ma tagliato a pezzi e mischiato al purè.
E’ il racconto del giorno dopo, in cui scaldi le fave con un filo d’olio e rendi un avanzo più buono e ricco.
E’ il racconto della “spurchia” da estirpare da sotto le piante delle fave, dei baccelli secchi da calpestare con i piedi, delle vecchiette sedute nei cortili che “mozzicano le fave” con delle pietre per ingannare i lunghi pomeriggi di fine estate. Le puoi sentire dalla strada, puoi sentire quel ritmo cadenzato sempre uguale che quasi concilia il sonno.
E’ il racconto delle pignate sul fuoco e della cucina antica ed autentica.
E’ il racconto di innamorati il cui core batte per l’amata e “scquacquarescia comu ‘na pignata di faij” (=fa il rumore delle fave in ebollizione nella pignata sul fuoco).
E’ il racconto della mia vita. E’ il mio piatto preferito. E’ povero e ricco allo stesso tempo. Non c’è niente come le fave. Non cc’è nientij comu li faij.
E come si fanno le fave? La prima volta che le ho cucinate avevo circa 14 anni, mi sembrò una cosa semplice in fin dei conti, bisognava solo fare attenzione a non farle attaccare al fondo della pentola. Mia madre mi elogiò dicendo che non era da tutti esserne capaci. In verità la cosa “difficile” o meglio “laboriosa” delle fave è il contorno! A casa mia le fave si accompagnano con di tutto e di più (un po’ l’utilizzo che al nord si fa della polenta, ma assolutamente non c’è paragone: le fave sono buone anche senza niente!!!): insalata di pomodori e caroselle (detta acqua e sale), friggitelli fritti e salati con sale grosso, peperonata e naturalmente li fogghij: la verdura. Quella che c’è. A me piacciono moltissimo anche con la frutta!
Ogni famiglia ha la sua ricetta e segreto di preparazione. La ricetta che indico qui è quella che mi ha insegnato mia madre, che a sua volta l’ha appresa dai suoi genitori, e che grosso modo corrisponde anche al modo di prepararle di mia nonna paterna. Mi sono concessa una piccola divagazione SOLO sulla presentazione in bicchierini che lasceranno i vostri amici superfighi del brunch senza parole e soprattutto desiderosi di averne ancora!!! Il gusto, ve lo assicuro, è superautentico D.O.C.G.!
Ingredienti:
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‘na francata di faij secchi a testa (= per ogni persona contare una quantità di fave secche contenuta nelle mani “a coppetta” di una donna adulta e non esile!)
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acqua (q.b. a coprire a filo le fave nella pentola)
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sale (meglio poco, al massimo se ne aggiunge alla fiine)
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olio di oliva della Puglia (circa due cucchiai a testa)
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pane raffermo
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verdure, ortaggi, friggitelli, lampascioni, insalata di pomodori, …di tutto e di più
Regole d’oro:
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Mettere a bagno le fave secche poche ore! L’ideale è metterle a bagno la mattina presto (es. 6:00) per cuocerle verso la tarda mattinata. Mai metterle a bagno dalla sera prima, perdono tutto il sapore (nonno docet).
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Le fave devono essere tutte della stessa “mamma”, ovvero provenire da uno stesso raccolto (o essere della stessa grandezza), altrimenti le singole fave cuoceranno in tempi diversi o peggio ne rimarrà qualcuna cruda (nonna docet).
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Di regola appena l’acqua inizia a bollire bisogna eliminare con una schiumarola la schiuma che fuoriesce dalle fave. Mio nonno era contrario. Dipende dai gusti!
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Evitare di aggiungere le patate (alcune scuole di pensiero le prevedono, a me piacciono senza!) o di cuocere le fave in un brodo (come fa la Parodi, ma dove l’ha visto??!!)
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Ricordate che le fave per la prima fase della cottura vanno lasciate in pace, mescolatele il più tardi possibile (quando l’acqua sarà quasi completamente assorbita).
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Occhio agli schizzi in fase di ebollizione: a parte il colore, dovete considerare il purè di fave lava!
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Le fave dopo la cottura vanno sbattute con forza cu la cucchiara ti li faij (con il mestolo di legno). Ma va bene anche aiutarsi con uno sbattitore elettrico!!!
Procedimento:
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Mettere a bagno le fave. Bastano poche ore (vedi regole d’oro).
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Mettere le fave ammollate in una pentola abbastanza alta e coprire a filo con acqua fresca – vedi foto. Secondo alcune scuole di pensiero andrebbe usata la stessa acqua di ammollo, in realtà è sempre bene eliminare l’acqua di ammollo di qualsiasi legume, perché contiene sostanze poco digeribili.
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Abbassare la fiamma e lasciare le fave in pace! Non fatevi prendere dalla tentazione di mescolarle altrimenti è finita: sarete schiavi della pentola per tutta la cottura, costretti a rimestare di continuo per evitare che le fave attacchino sul fondo. Il momento giusto per mescolare è quando non vedrete più (o quasi) acqua. Tenete il coperchio chiuso o leggermente sollevato (specie se avete esagerato con l’acqua).
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Se avete cominciato a mescolare (ovviamente con un cucchiaio di legno) dovete poi controllare le fave ogni 7/10 min. per evitare che brucino sul fondo. Attenzione a quando sollevate il coperchio: gli schizzi di fave in ebollizione potrebbero farvi perdere l’occhio!!!
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Passata un’ora e mezza le fave sono cotte. Ora è il momento di sbatterle con forza o con uno sbattitore elettrico: è in questo momento che dovete aggiungere l’olio e regolare di sale. Pronte!
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Mentre le fave cuociono preparare i “contorni”, ad esempio la peperonata che ho proposto per questo Cous Cous è ottima allo scopo!
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Il giorno dopo: le fave avanzate sono buonissime riscaldate e fatte un po’ bruciacchiare con l’olio (quante lotte con i miei fratelli per accaparrarci le “scracedde” = scaglie di purè di fave bruciacchiate!) oppure le potete utilizzare per condirci la pasta.
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Se sono troppo liquide: il must in questi casi è mischiarle al pane raffermo, ma quello con tanta mollica e la crosta dura, tipico di San Marzano si San Giuseppe!!! Evitate di dare ascolto a chi ci aggiunge la farina!!! E soprattutto tenete conto che raffreddandosi il purè si rapprende parecchio.
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Quando le fave si freddano tendono ad indurirsi: una leggera passata sul fuoco e diventano di nuovo cremose!
Mi sono dilungata, lo so! Ma questo piatto merita, parola di Cle!
Edit: Ho iscritto la ricetta alla raccolta di mammazan Tutti pazzi per il brunch (banner nello spazio contest) e al contest I migliori anni della nostra vita.
Suggerimento salvatempo: Se ne preparate in maggiore quantità potete invasettare sia il purè di fave, sia le verdure, appena spegnete il fuoco, capovolgere i vasetti ben chiusi per far formare il sottovuoto, e una volta freddati, conservarli in frigo per una decisa di giorni (io faccio così per avere cibarie di scorta per la pasua pranzo o la cena lampo al ritorno dal lavoro)
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